Il vino della Laguna

20 Febbraio 2011

caorle_laguna_venetaNato in in collina, nei vigneti di Campodipietra del produttore Ornella Molon,  il Lagunare è un vino che fa il suo invecchiamento in botti calate sott’acqua, nella laguna di Caorle (VE). Cullata dalle onde e dalle maree, la botte rimane immersa per sei mesi, al fresco, infossandosi nel fondale sabbioso, avviluppandosi di alghe, a contatto con pesci, conchiglie, granchiolini e uscendo allo scoperto solo con le basse maree. Questo habitat così inusuale rende un esperimento simile davvero azzardato. Non che sia una novità assoluta quella di utilizzare il fondale marino come cantina, ma quello che è particolare rispetto a sperimentazioni più o meno analoghe è che la profondità dell’immersione è relativa, circa 2 m, ma varia a seconda delle maree. E soprattutto sorprende che in questo caso non ci si trovi di fronte a vini, principalmente spumanti, già imbottigliati, che affidano in bottiglie poste sott’acqua. Ci troviamo, invece, di fronte ad un vino rosso (Cabernet e Merlot) che finisce sott’acqua quando ancora è dentro la botte (botti di secondo passaggio di rovere francese da 235 l) quando, cioè, a causa della porosità del materiale del recipiente, gli scambi tra ambiente esterno e ambiente interno sono più massicci e rapidi. Questo rende l’esperimento del Lagunare rosso un unico assoluto, e a breve dovranno essere imbottigliati anche un Lagunare bianco risultato dalla vinificazione di uve friulano, un Refrontolo  passito (Lagunare passito) e una grappa di Lagunare. Molto lontano dall’idea di vino semplice e schietto, il Lagunare è chiaramente un vino per chi ama i virtuosismi enologici (ed è disposto a pagarli adeguatamente). A chi è alla ricerca di sensazioni inusuali, a chi cerca ogni mezzo per sorprendere e sorprendersi, il Lagunare offre un valido appiglio: è un vino rubino profondo caratterizzato da una trama molto fitta che rende impenetrabile. In un primo momento un gradevole ma tutto sommato convenzionale sentore di ciliegie sotto spirito investe le narici unendosi a belle e decise note boisées. Solo in un secondo momento, concedendogli di aprirsi adeguatamente, il Lagunare offre una tavolozza di profumi originali, che giustificano un’elaborazione così complicata come quella che gli è stata consacrata. Nel naso allora si slancia a inseguire una trama olfattiva giocata su note di “fondale di stagno”, alghe, vegetazione lacustre che poi si chiude su caldi sentori di torrefazione. La bocca è marcata da una morbidezza molto invasiva, a cui tenta di fare da controcanto una sapidità vivida, dovuta, forse, al suo breve soggiorno sottomarino. Tenendo però presente che il tasso salino della laguna è estremamente attenuato rispetto a quello medio del mare aperto (17/1000 in laguna, 35/1000 a mare). Un profilo organolettico come quello descritto apre al sommelier nuove prospettive sul fronte degli abbinamenti: un rosso di corpo che stravede per gli abbinamenti col pesce stuzzica sempre la curiosità dei professionisti del settore; da provare, giusto per iniziare, con insalata di alghe e anguille alla brace, per poi sbizzarrirsi a piacimento azzardando un po’ di tutto, dai crostacei alle conchiglie. Difficile essere precisi nel prevedere l’aspettativa di vita del Lagunare: tannini sensibili e freschezza esuberante lascerebbero però pensare a una lunga possibile evoluzione medio – lunga. L’esperimento inaugurato dal Lagunare lascia aperte alcune domande: come per esempio quale apporto finale ha dato il mare a questo vino? Oltre è già menzionati sentori lacustri, la cosa sorprendente è che il soggiorno sottomarino ha fatto accelerare i processi di polimerizzazione. Ma nessuno ha ancora capito come mai. Il mercato si getterà su un prodotto atipico come questo?  Il Lagunare diventerà un nuovo status – symbol enologico italiano, per cui agiati appassionati investiranno fino a € 300 alla bottiglia (prezzo degli esemplari a tiratura limitata firmata dai produttori)? Questo vino verrà interpretato come un giochetto divertente che lascia il tempo che trova, o stuzzicherà  altri produttori a lanciarsi in altre, analoghe, sperimentazioni?

Ai posteri l’ardua sentenza!

 

Autore: Tommaso Aniballi (Tratto dalla rivista “Devinis”, di Isabella Sardo)

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