Il vino per tortellini e cappelletti

21 Febbraio 2012

cappellettiVediamo innanzitutto cosa cita Wikipedia sui termini tortellini e cappelletti. “Il nome di tortellino (in bolognese turteléin, in modenese turtlèin) deriva dal diminutivo di tortello, dall’italiano torta.
L’odierno tortellino è verosimilmente l’erede relativamente recente di una lunga progenie nata in un ambiente povero per “riciclare” la carne avanzata dalla tavola dei nobili ricchi. Nel libro “L’economia del cittadino in villa” di Vincenzo Tanara del 1664 si descrivono dei tortellini “cotti nel burro”. Ancora nel 1842 il viaggiatore e bibliografo francese Antoine Claude Pasquin (detto Valery, 1789-1847) annotava un ripieno di «sego di bue macinato, tuorli d’uovo e parmigiano», ben più rozzo dell’attuale. Sull’origine di questo piatto esistono diverse leggende. Una tra queste fa nascere questo piatto a Castelfranco Emilia ad opera del proprietario della locanda Corona, il quale, sbirciando dal buco della serratura della stanza di una nobildonna sua ospite e rimasto tanto colpito dalla bellezza del suo ombelico, volle riprodurlo in una preparazione culinaria. Un’altra variante della storia trae spunto dalla “Seccia rapita” del Tassoni e racconta di come ai quei tempi, una sera dopo una giornata di battaglia tra bolognesi e modenesi, Venere, Bacco e Marte trovarono ristoro presso la locanda Corona. La mattina seguente Marte e Bacco si allontanarono dalla locanda lasciando Venere dormiente; questa, al risveglio, chiamò qualcuno e il locandiere che accorse la sorprese discinta e rimanendo tanto impressionato dalle sue splendide forme che, tornato in cucina con ancora in testa ciò che aveva visto, strappò un pezzo di sfoglia, lo riempì e ripiegò dandogli la forma dell’ombelico della dea.

“I cappelletti sono un formato di pasta ripiena che si ottiene tagliando la sfoglia di pasta alimentare all’uovo in quadrati o cerchi, al centro dei quali viene posto il ripieno; la pasta viene poi piegata prima in due a triangolo, e poi unendo le estremità intorno a un dito della mano. I cappelletti vengono poi cotti in brodo di carne, preferibilmente di pollo.”

cappelletti-fatti-a-mano1Quindi ripartiamo da cappelletti.

I cappelletti si ottengono da quadrati di sfoglia del lato di 4-5 centimetri, preferibilmente tagliati con la rondella piuttosto che con il coltello, al centro dei quali viene posto il ripieno o compenso o batù, in dialetto romagnolo; il quadrato di sfoglia viene poi piegato lungo la diagonale, ottenendo così un triangolo, i cui margini sono pigiati con cura, tramite la pressione delle dita o con l’aiuto dei rebbi della forchetta, in modo da saldare i due strati di sfoglia ed impedire la fuoriuscita del ripieno nel corso della cottura. Tenendoli tra il pollice e l’indice di ciascuna mano, vengono infine uniti i due angoli acuti del triangolo, dando vita al cappelletto.

I vari ripieni

Sulla composizione del ripieno vi sono diverse ricette, che possono essere sostanzialmente raggruppate in due contrapposte scuole di pensiero, ovvero quella che include oltre a uova e noce moscata solo formaggio, quale parmigiano reggiano o grana padano, eventualmente tagliati da una quota di raviggiolo e ricotta, e quella che invece, oltre ai sopraccitati ingredienti, contempla anche la carne, quale petto di cappone, petto di tacchino o lonza, cotta leggermente nel burro e finemente tritata. Nel primo documento in cui compaiono i cappelletti, ovvero l’indagine napoleonica del 1811, non viene menzionata la carne tra gli ingredienti del ripieno, né tanto meno nell’opera di Michele Placucci “Usi e pregiudizj de’ contadini della Romagna”, nel 1818. D’altro canto però si deve tenere conto del fatto che Pellegrino Artusi, in “La scienza in cucina e l’arte di mangiare bene”, nella ricetta dei “Cappelletti all’uso di Romagna” include il petto di cappone, contemplando il ripieno di solo formaggio per una variante, ovvero i “Cappelletti di magro”, preparati per la Vigilia.

cappelletti-in-brodo

E’ però doveroso aggiungere comel’opera di Pellegrino Artusi non sia assolutamente da ritenere esemplificativa della cucina romagnola ma rappresenti piuttosto la cucina borghese dell’Italia centro – settentrionale della metà dell’800; a ciò va aggiunto che l’Artusi pubblicò la sua opera oltre vent’anni dopo essersi trasferito in Toscana, come conseguenza del sacco di Forlimpopoli, messo a segno dalla banda del più famoso dei briganti di Romagna, Stefano Pelloni detto il Passatore, la notte del 25 gennaio 1851. Per porre fine a questa annosa disputa ci vengono in aiuto gli studi del professor Massimo Montanari, dell’Università di Bologna, il quale sostiene che le origini del ripieno di formaggio sarebbero da ricondurre alla dominazione bizantina sul territorio romagnolo. I Bizantini erano notoriamente dediti all’agricoltura, alla pesca nonché all’allevamento, finalizzato però alla produzione di latte e non alla macellazione sistematica; il ripieno di carne troverebbe origine invece nella dominazione dei Longobardi sul territorio emiliano, per i quali l’allevamento del bestiame era l’attività principale, per cui è più legato al tortellino che non al cappelletto. Questa tesi trova conferma nel fatto che, man mano che si percorre la via San Vitale da Ravenna verso l’Emilia, aumenta progressivamente la presenza della carne tra gli ingredienti. A Villanova di Bagnacavallo e ad Alfonsine, in provincia di Ravenna, può essere localizzata l’ala purista dei sostenitori del ripieno di formaggio, che prevede l’impiego esclusivo di parmigiano reggiano o grana padano per la preparazione del ripieno.

Ricordando la tradizione

sangiovese-di-romagnaAnche se il loro consumo è oggi più frequente, in origine i cappelletti venivano preparati solo due o tre volte all’anno, a seconda della disponibilità economica della famiglia, in occasione dei pranzi di Natale, di Pasqua ed eventualmente dei matrimoni. Siccome la preparazione dei cappelletti deve avvenire rapidamente, nel lasso di tempo in cui la sfoglia rimane sufficientemente umida e può essere a saldata su se stessa, nella vecchia famiglia patriarcale contadina partecipavano all’operazione sia le donne sia i bambini, i quali aiutavano nella chiusura; l’eventuale ripieno eccedente veniva cotto nel brodo e consumato assieme al lesso come secondo. Per rimarcare l’importanza dei cappelletti nella tradizione romagnola, è interessante notare come la loro cottura fosse un tempo legata a un rito propiziatorio; durante i pochi minuti in cui avveniva la cottura dei cappelletti, il contadino doveva uscire di casa e potare almeno una vite, in modo da assicurarsi un buon raccolto di uva nella vendemmia successiva.

trebbiano1In passato veniva talvolta preparato anche “e caplèt de lôv” – ovvero il cappelletto del goloso – per prendersi gioco dell’ingordigia dei bambini; tale cappelletto era caratterizzato da dimensioni leggermente superiori rispetto a quella degli altri esemplari, che gli consentivano di far cadere in tentazione il più goloso, e da un ripieno costituito da sola pasta o addizionato di un’abbondante dose di sale e pepe, che obbligava il malcapitato a sputare il boccone. In qualche trattoria della bassa Romagna ci si può talvolta imbattere negli “ingana prit” – ovvero gli inganna preti – una tipologia di cappelletto dietetico precursore e ormai dimenticato, caratterizzato dall’assenza di ripieno, la cui invenzione è sicuramente da ricondurre alle ristrettezze economiche dei tempi passati e non sicuramente a problematiche connesse con l’eccesso calorico. Il fatto che anche le bolle e gli schizzi creati dalla pioggia che cade con violenza sul suolo bagnato siano definiti “cappelletti”, è un’ulteriore testimonianza di come questa pasta ripiena sia profondamente radicata nell’immaginario dei Romagnoli.

Il vino ideale

rebola-dei-colli-di-riminiNelle case esistono due sole tipologie di cappelletti, quelli in brodo e quelli col ragù di carne, cotti comunque anch’essi nel brodo, mentre nei ristoranti li si può trovare con condimenti differenti e ripieni particolari. Per i classici cappelletti in brodo, anche se con ripieno di carne, ci si può orientare verso un Trebbiano dotato di buona acidità e buon grado alcolico, mentre per i cappelletti col ragù l’abbinamento ideale è quello con un Sangiovese, preferibilmente giovane e dalle gradevoli note fruttate. Nel caso in cui i cappelletti siano conditi con formaggio di fossa di Sogliano sul Rubicone, molto gustosi, è necessario orientarsi verso un rosso di buona struttura e con una intensità olfattiva in grado di reggere gli aromi sprigionati dal formaggio caldo, mentre per i cappelletti conditi con fondo bianco e asparagi si deve prediligere un bianco profumato e di buon grado alcolico, come ad esempio un’Albana. Per cappelletti con ripieno al branzino, interessante particolarità che qualche estroso ristoratore della costa propone, sempre rimanendo sulla produzione enologica locale, può essere proposto un bianco dai profumi non troppo marcati e dotato di una certa morbidezza, quale ad esempio la Rebola dei Colli di Rimini, vista la delicatezza del piatto.

 

Autore: Riccardo Castaldi

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