Il Marsala

6 Novembre 2010

cartina-marsalaIl Marsala, vino antico e magico nei sapori e nei ricordi, ma con tante contraddizioni e tanti abusi che riguardano la quantità e la qualità della produzione.

Saper scegliere è facile e individuare il meglio anche, peccato che per colpa di molti esista ancora il marsalino. Forse il problema è l’abbondanza. Altrimenti, non si spiegherebbe l’abilità di noi italiani abbiamo nel mortificare tanta parte del nostro patrimonio culturale e della nostra tradizione. Probabilmente esso è così vasto che finiamo per trascurarne gli elementi più preziosi o darli per scontati. E questo vale in tutti i campi, dall’arte alla letteratura, dall’artigianato alla gastronomia. Naturalmente, vale anche per il vino.

marsala-florio1I Florio, ricca famiglia di industriali e armatori, non solo portarono il Marsala in ogni parte del mondo a bordo delle 99 navi della Compagnia Florio ma regalarono alla città un volto nuovo e un’impronta da borghesia illuminata. Da allora le aziende vinicole a Marsala si sono moltiplicate. Tra le più antiche aziende locali ricordiamo quella di Don Diego Rallo (1860), di Vito Curatolo Arini (1875) e la Carlo Pellegrino (1880). Nel 1900 se ne contavano circa 40. Molte di esse sono ancora in attività e delle altre rimangono le tracce negli edifici e nei bagli sparsi per la città. Nel vecchio baglio Carlo Alberto Anselmi ha attualmente sede il Museo Archeologico mentre gli stabilimenti dei Woodhouse, degli Ingham e dei Florio sono tutt’ora visibili percorrendo il lungomare Boeo, appena fuori dal centro storico. John Woodhouse era un mercante di Liverpool impegnato nel commercio delle ceneri di soda woodhouseche, nel 1773, navigava lungo le coste siciliane diretto a Mazara del Vallo. Egli però non la raggiunse mai perchè una tempesta lo fermò poco prima, costringendolo ad una sosta imprevista nel porto di Marsala. In una delle numerose osterie della città, gli fu offerto il miglior vino qui prodotto, quello che i contadini riservavano alle grandi occasioni: il perpetuumWoodhouse ne rimase affascinato e intuì che era perfetto per essere sorseggiato nei raffinati salotti inglesi, durante le lunghe chiacchierate pomeridiane. Aggiunse al perpetuum un po’ di acquavite da vino, per evitare che si alterasse durante il viaggio, e ne spedì 50 pipe a Liverpool con l’intenzione di testarne l’effetto. Il vino, simile al Porto e al Madera, piacque molto agli inglesi e fece la fortuna dei Woodhause che cominciarono a investire sulla zona acquistando il vino dai contadini in miseria, costruendo propri stabilimenti e impiegando ingenti capitali per la costruzione del porto. Nacque così il Marsala, quello che l’ammiraglio Nelson definiva “ degno della mensa di qualsiasi gentiluomo ” e con il quale riforniva la sua flotta. Ovviamente il successo ottenuto dai Woodhause portò nell’antica Lylibeo molti altri imprenditori inglesi: Corlett, Wood, Payne, Hoppes. Fra tutti, merita di essere ricordata l’attività di Benjamin Ingham che, a partire dal 1812 , insieme al nipote Joseph Whitaker, si prodigò per l’ammodernamento delle tecniche di produzione e per l’ampliamento delle esportazioni anche fuori dall’Europa.Il Marsala si spinse così in Brasile, nell’America del nord e ancora oltre, fino all’ Estremo Oriente e all’ Australia. Quella che fino ad allora era stata una modesta zona agricola si tramutò, in breve tempo, in un attivo centro industriale. Nel 1832, fra lo stabilimento dei Woodhause e quello degli Ingham si inserì il primo imprenditore italiano: Vincenzo Florio.

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I Florio, ricca famiglia di etichetta-marsalaindustriali e armatori, non solo portarono il Marsala in ogni parte del mondo a bordo delle 99 navi della Compagnia Florio ma regalarono alla città un volto nuovo e un’impronta da borghesia illuminata. Da allora le aziende vinicole a Marsala si sono moltiplicate. Tra le più antiche aziende locali ricordiamo quella di Don Diego Rallo (1860), di Vito Curatolo Arini (1875) e la Carlo Pellegrino (1880). Nel 1900 se ne contavano circa 40. Molte di esse sono ancora in attività e delle altre rimangono le tracce negli edifici e nei bagli sparsi per la città. Nel vecchio baglio Carlo Alberto Anselmi ha attualmente sede il Museo Archeologico mentre gli stabilimenti dei Woodhouse, degli Ingham e dei Florio sono tutt’ora visibili percorrendo il lungomare Boeo, appena fuori dal centro storico.

Oggi se si chiede in giro “cos’è il Marsala”, vi sentirete rispondere 8 volte su 10 che si tratta di “un liquorino dolce solitamente presente sulle tavole imbandite per la colazione di Pasqua o per accompagnare i dolcetti della tradizione”. Lo Sherry  e il Porto, vini che condividono con il Marsala la nascita nella cosiddetta “Sun Belt”, la categoria enologica, la matrice britannica e l’impressionante longevità, sono universalmente considerate tra le più rinomate etichette del mondo. Il grande liquoroso siciliano, al contrario, è ancora alla ricerca di un’identità moderna e chiara, in grado di far dimenticare le ignobili versioni aromatizzate, prodotte e manipolate nel dopoguerra ovunque e da chiunque, che ne hanno rovinato l’immagine e pregiudicato la credibilità negli scorsi decenni. La prima normativa sulla produzione del Marsala è un D.M. del 15 ottobre 1931 (“Delimitazione del territorio di produzione del vino tipico di Marsala”), cui hanno fatto seguito il riconoscimento della DOC  nel 1969 e, infine la legge n. 851 del 28 novembre 1984, la “Nuova disciplina del vino Marsala”. Quest’ultima, in particolare, si è di fatto limitata all’abolizione della discussa categoria dei “Marsala speciali”, al restringimento della zona tipica e all’affermazione dell’obbligo di produzione, affinamento e imbottigliamento all’interno del territorio a DOC. Ma, nel contempo, ha aperto le porte anche al Damaschino, varietà di uova iperproduttiva e decisamente poco adatta alla realizzazione di vini foto-marsalapotenti e strutturati. Insomma, questa nuova legge non è certamente bastata a ridare il vero lustro a quello che dovrebbe essere uno dei vanti dell’enologia italiana. Allora, tanto più che si parla sempre più spesso di una prossima DOCG, sorge spontanea una domanda: non sarebbe forse il caso di far precedere un’inutile (allo stato attuale delle cose) DOCG da una seria revisione del disciplinare di produzione, che privilegi la qualità ottenuta attraverso una rigorosa selezione della materia prima, un abbattimento sostanzioso delle rese per ettaro (e per pianta), una corsia privilegiata da dedicare alle uve chiaramente superiori per qualità intrinseca Grillo)? Che recepisca, pur nel mantenimento dell’identità vitivinicola ed enologica del vino, l’evoluzione delle tecniche di coltivazione e di produzione, prevedendo una riduzione all’essenziale dell’uso di mistelle e, soprattutto, di mosti concentrati? cantina-florioChe sottolinei il ruolo egemone del Marsala vergine, magari rendendolo un monovarietale da Grillo e limitando a quest’unica tipologia la DOCG? Probabilmente in troppi non la pensano così. Probabilmente si preferisce fare le cose all’italiana e magari consentire al qualche oscuro personaggio-che forse con il vino c’entra ben poco-di pavoneggiarsi e riscuotere consensi, elettorali e non, per la semplice aggiunta di una “G” finale a una DOC che, così com’è, non è in grado di garantire la benché minima qualità e molto spesso nemmeno l’effettiva origine di un vino. Le degustazioni di questi vini ci raccontano una realtà assai complessa e variegata. Un universo in cui alcuni produttori seguono con tenacia una linea di qualità senza compromessi e trainano una carretta sulla quale, tuttavia, molti altri si accontentano di vivere di luce riflessa o di trarre profitto da una tradizione che è ancora riesce quasi a vendersi da sola. È chiaro che nel mondo del Marsala, come del resto in quello di ogni altro vino importante, c’è posto per tante interpretazioni, anche di livello qualitativo ben differenziato. Ma se realmente vogliamo che le nostre etichette e i relativi disciplinari tutelino e garantiscono le vere eccellenze enologiche, possiamo e dobbiamo fare molta più chiarezza. Dopo anni e anni di trucco pesante a base di aromatizzazioni scandalose, al Marsala serve ben altro che un nuovo superficiale intervento di maquillage.

 

Autore: Tommaso Aniballi

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