“Artusi e la nascita della cucina nazionale” parte 1

17 Settembre 2010

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(Parte 1)

La cucina italiana è oggi considerata una delle migliori del mondo anche se, purtroppo, dobbiamo ammettere che tale fama all’estero è legata soprattutto a pasta e pizza, cucinate spesso in modi che fanno inorridire ogni buongustaio. La vera cucina italiana, che non prevede certo il cappuccino come bevanda di accompagnamento ad un secondo come pensano molti turisti sprovveduti, è invece qualcosa di molto complesso e strutturato che si è sviluppata nei secoli fino a raggiungere un grado notevolissimo di raffinatezza ma anche di equilibrio alimentare tra le varie portate. Il piccolo spazio che abbiamo a disposizione non ci consente una trattazione molto elaborata, ma è sufficiente per delineare per sommi capi l’opera di colui che può giustamente essere considerato come l’inventore della moderna cucina italiana: Pellegrino Artusi.

Artusi (1820-1911), si fece dapprima conoscere come studioso dei poeti Giusti e Foscolo, ma è noto soprattutto per il suo giustamente fortunato trattato La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene pubblicato per la prima volta nel 1891 e costantemente ripubblicato fino ad oggi, tanto da diventare non solo il manuale di cucina più famoso ma anche un lavoro tra i più letti in Italia, dopo Pinocchio e i Promessi sposi. Il libro, il cui titolo richiama vagamente quello del letterato rinascimentale Bartolomeo Sacchi detto Platina, è scritto in un piacevolissimo italiano e rappresenta il tentativo riuscito di fondere in un concetto coerente le varie cucine regionali, dando vita ad una “Cucina italiana” con una propria fisionomia. Per fare questo, Pellegrino Artusi prima studiò con amore e sensibilità la tradizione culinaria regionale e cominciò poi a raccogliere decine di ricette “locali” che rielaborò in base alla sua concezione unitaria, in maniera tale da ottenere una materia perfettamente coerente. L’autore si rivelò molto moderno nel tentare di fondere quelle che erano le nozioni ottocentesche di una corretta alimentazione con il buon gusto. Il suo fu un approccio quasi “scientifico” che gli valse le lodi del professor Paolo Mantegazza, uno dei grandi luminari della medicina del XIX secolo che gli scrisse: “Col darci questo libro voi avete fatto un’opera buona e perciò vi auguro cento edizioni”.

Il suo lavoro fece per la cucina quello che Dante realizzò nella lingua. Dante creò infatti l’italiano partendo dal volgare toscano ma tenendo anche conto degli altri volgari, in primis quello usato dalla Scuola siciliana. L’italiano nacque perciò molto prima dell’Italia. Il testo di Artusi è quindi doppiamente importante, sia perché ha fatto rivivere la tradizione rinascimentale italiana, che perché ha creato una cucina nazionale con caratteristiche peculiari grazie alla fusione organica delle tante cucine regionali. Le pagine della Scienza in cucina sono piene di fierezza patriottica e rappresentano una critica esplicita al localismo campanilistico. Nel libro di Artusi traspare infatti il giusto orgoglio di aver creato qualcosa che rende l’Italia preziosa ed unica rispetto a tutti gli altri Paesi, modello da invidiare e, soprattutto, da imitare.

Questa idea di gusto ed equilibrio non piacque però ai Futuristi che, guidati dal demenziale Filippo Tommaso Marinetti, iniziarono una campagna contro Artusi e la sua concezione armonica di cucina. Il 28 dicembre 1930 Marinetti pubblicò sulla Gazzetta del Popolo di Torino il “Manifesto della Cucina Futurista” in cui veniva dichiarata guerra ai piatti tradizionali italiani e soprattutto agli spaghetti che venivano definiti “simbolo passatista di pesantezza, di ponderatezza, di tronfiezza panciuta”.

Se la provocazione futurista non scosse più di tanto l’amore italiano verso gli spaghetti, l’Unione Europea potrebbe invece riuscire nell’opera con le sue proposte che autorizzano l’uso di grano tenero per la fabbricazione della pasta. Come è noto, la pasta fatta con grano tenero (come è possibile fare in Francia o in Germania dove la pasta viene usata come contorno alle carni) non tiene la cottura e passato un certo momento diventa una deprimente massa collosa. A quel punto la pasta potrebbe veramente scomparire dalle mense italiane semplicemente per il disgusto che provano i commensali nel vederla.

(continua)

Galliano Maria Speri

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