La fermentazione alcolica è svolta dai lieviti del genere Saccharomyces, che trasformano gli zuccheri, in particolare il glucosio, in alcol etilico, anidride carbonica, energia termica e molte sostanze secondarie. L’alcol etilico che si forma e che è realmente presente nel vino è detto alcol svolto, ed è obbligatoriamente riportato in etichetta, espresso come percentuale volumetrica (vol.%). I vini dolci contengono degli zuccheri residui; se questi fossero fermentati, sarebbero trasformati in alcol etilico, definito alcol potenziale, a volte indicato nella loro etichetta, sempre espresso come percentuale volumetrica. La somma dell’alcol svolto e di quello potenziale è definito alcol complessivo. Se per esempio sull’etichetta si legge 11 + 5%, il primo valore rappresenta la percentuale di alcol svolto, il secondo di quello potenziale.
C6 H12 O6 2 CH3 CH2 OH + 2 CO2 + energia
zucchero alcol etilico anid. carbonica
Il compito della fermentazione alcolica non si esaurisce nella produzione di alcol etilico e anidride carbonica, perché si formano altri alcol come il 2,3 butilenglicol, polialcoli come la glicerina, acidi organici come il succinico, esteri e aldeidi, in particolare acetaldeide, oltre a piccole quantità di molte altre sostanze, determinanti nel delineare il profilo sensoriale di ogni vino.
La fermentazione malolattica
Nella primavera che segue la vinificazione, alcuni batteri lattici, Pediococcus, Loctobacillus e Leuconostoc, possono realizzare la fermentazione malolattica, che avviene anche spontaneamente in seguito al normale rialzo termico (18-20 °C), in presenza di un pH del vino non molto basso (3.2-3.4) e di una limitata concentrazione di anidride solforosa, oltre che di una percentuale di alcol etilico inferiore al 15%. Sempre più spesso si utilizzano però colture selezionate di questi batteri, in grado di trasformare una molecola di acido malico in una di acido lattico e una di anidride carbonica, con una conseguente diminuzione dell’acidità del vino, che risulta più morbido ed equilibrato.
COOHCH2CHOHCOOH CH3CHOHCOOH + CO2
acido malico acido lattico anid. carbonica
Per tradizione questa fermentazione è più gradita ai vini rossi, ma attualmente viene indotta anche in alcuni bianchi importanti e con particolari doti di morbidezza, magari fermentati o fatti riposare in barrique, come Alto Adige Pinot grigio e Chardonnay, Colli Orientali del Friuli Sauvignon, Verdicchio dei Castelli di Jesi e altri ancora. A questo punto è lecito chiedersi come mai il vino risulti meno acido, dal momento che il prodotto di questa fermentazione è ancora un acido. La risposta semplice, in quanto ogni acido ha un proprio sapore e una propria forza. Se l’acido malico è l’acido organico più aspro presente nell’uva del vino, il lattico è il più delicato e il più dolce. Oltre che meno acido, dopo la fermentazione malolattica il vino risulta più persistente e ricco di corpo, grazie ad una maggior concentrazione di polisaccaridi. Anche il suo profumo può trarne vantaggio, risultando meno marcato da toni erbacei e con sfumature di burro, noci, vaniglia, spezie, cuoio e tostature. Per fare un paio di esempi, lo Chardonnay può attenuare gli accenti di banana e svelare intense note di agrumi e caramello, mentre il Cabernet Sauvignon, alleggerito dalle sensazioni vegetali, può dare sentori più spiccate di ribes, lampone, menta e pepe nero.
Autore: Tommaso Aniballi