I grandi vini dolci

19 Novembre 2010

I grandi vini dolci che rimangono impressi nel cuore e nell’anima.

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Riesling Beerenenauslese Erdener Treppchen 2006 (Riesling 100%)
Dr. Loosen – Bernkastel (Germania) 

Il tipico Riesling della Mosella doveva essere, fino a vent’anni fa, di un brillante oro pallido, leggero e nervoso, quasi sempre “lieblich”, cioè amabile, per bilanciarne il mordente acido. Verso la metà degli anni Ottanta Ernst Loosen  studiava archeologia e suo padre meritava di svendere, per ragioni di stanchezza e di salute, un’azienda non più remunerativa, con vigneti vecchi e poco produttivi, difficili da lavorare.
Mosel-Saar-Ruwer  è il più grande areale del mondo coltivato a Riesling, che all’epoca molti spiantano sostituendolo con il più facile Muller Thurgau. Ernst ha il coraggio di scelte controcorrente e realizza che la vera  ricchezza, l’unicità dell’azienda sono proprio questi secolari ceppi di Riesling a piede franco inerpicati sulle pendici scoscese e scistose a strapiombo sul  fiume. Assieme al compagno di studi Bernard Schug decide di dedicarsi al rilancio dell’azienda di famiglia. Dopo il diploma in viticoltura a Geienheim, Ernst compie viaggi di studio in Austria, Alsazia, Borgogna, California, non trascurando di confrontarsi con i vignaioli di punta della propria regione.

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Il 1987 è l’anno della svolta, il portafoglio aziendale (l’insieme dei possedimenti) comprende vigne non solo presso la cantina, a Bernkastel, ma in tutti gli Erste Lage (i grand cru della classificazione prussiana) più famosi della Mosella, quali il Wehlener Sonnenuhuro l’Urziger Wurtzgarten. L’Erdener Treppchen è di fronte a Erden, poco sotto Herremberg, i cui terreni di ardesia grigia, virano al rosso in presenza del ferro. Treppchen significa “scalette”,  con riferimento ai 100 e più gradini scavati nella roccia per agevolare il lavoro dei viticoltori: qui si fa vino da più di 2000 anni, come dimostra il ritrovamento di un torchio romano del II secolo avanti Cristo. I pendii ripidi esposti a mezzogiorno permettono la graduale e piena maturazione delle uve, mentre le escursioni termiche notturne ne riservano acidità e precursori aromatici. L’apparato radicale delle viti è costretto in profondità dall’eccezionale ricchezza (10.000 ceppi per ettaro) e dagli scisti affioranti, e ciò spiega la possente, vibrante mineralità dell’Erdener Treppchen.  Lucentezza da quarzo purissimo, al naso roccioso e gessoso  su cui si innestano smaglianti  e seducenti sentori di lilium, rosa tea, melone invernale, ananas, lime, pepe bianco. È già bene impostato il raffinatissimo equilibrio tra vivace acidità e l’alcol, che ne amplifica l’essenza cremosa da sorbetto e agrumi. La dolcezza è bilanciata con precisione dalla freschezza . Lunghissima la persistenza fruttata e agrumata, sfaccettata di amaricante da botrite, impreziosita da sottile e continua venatura salina. Davanti  uno straordinario potenziale evolutivo,  si riducono al minimo anche le pratiche di cantina, secondo la “filosofia” del suo produttore.

Acini nobili 1993

acini-nobiliFausto Maculan, tra i protagonisti principali del rinnovamento del vino italiano, è sulla breccia dagli anni 70 quando, fresco di laurea in enologia a Conegliano e di viaggi-studio in Francia, fa conoscere nel mondo la DOC Breganze, terra storicamente volata alla vite, in posizione strategica tra le vallate dell’Astico e del Brenta.  Anziché puntare sul tessile, sulla piccola industria e sul turismo come molti imprenditori facevano in quegli anni, Maculan sceglie di rinverdire la tradizione illustre del “vivere in villa” romano, petrarchesco e palladiano.  Lo affianca la sorella  Franca, abile e pragmatica nel gestire il commerciale e le relazioni esterne. Nel  1976 Maculan è tra le poche cantine attrezzate per produrre Novello, insieme a Gaja  e Antinori, nel 179 è tra i primi a scommettere sui bianchi in barrique. Il lungimirante Fausto si cimenta senza complessi  con Cabernet , Merlot, Chardonnay, Sauvignon e la famiglia dei Pinot , senza però trascurare gli autoctoni  Marzemino, Moscato e  Vespaiola, che interpreta un rigore, adottando uno stile di vinificazione moderno e pulito, che possa essere apprezzato anche dai palati internazionali. Nel 1977 Fausto tiene a battesimo il Torcolato, da uva Vespaiola fatta  appassire in apposito ambiente esterno condizionato. L’Acini Nobili e rappresenta un po’ la naturale evoluzione, e seleziona i soli acini attaccati da muffa nobile, così come avviene per il Sémillon nelle sue terre. Il momento appare favorevole: tornano alla ribalta vendemmie tardive e grandi passiti, e Gino Veronelli  fa conoscere il Picolit, il cui equilibrio “dolce-non dolce” non esclude matrimoni d’amore con foie gras, formaggi erborinati, piatti creativi. L’anno magico per la botrite è il 1983, e dà straordinari risultati. L’uva è la Vespaiola, in dialetto locale Bresparola,  così detta perché l’elevato tenore zuccherino attira sciami di vespe; ma entrano nell’uvaggio  originario anche piccole percentuali di Garganega e Tocai. Da buon enologo Fausto Maculan controlla a vista la virulenza della botrite, affinché non “cuocia”  troppo gli acini, riducendone la polpa a marmellata. Le rese sono infinitesime, indotte dalla fittezza di impianto di 10.000 per ettaro (all’epoca una vera stravaganza) e dalla magrezza dei suoli morenici, per i quali si ammette solo concime organico. L’annata 1993 ripete, a distanza di 10 anni, il miracolo di una botrite abbondante susseguente a una stagione ottimale. Le uve, raccolte a novembre in successivi passaggi, fruttano appena 3600 mezze bordolesi e 720 bottiglie da 0,75. I processi di fermentazione e maturazione in rovere (barrique di Nevers) richiedono almeno due anni, più 6 mesi di ulteriore riposo in bottiglia. Acidità e residuo zuccherino sono da record, e toccano rispettivamente 7,5 e 170 g/litro, il tutto in un contesto di ricerca di qualità estrema che si riteneva la Vespaiola non potesse garantire. La grossa consistenza, quasi sciropposa, dell’Acini Nobili 1993 indora il calice e lusinga l’olfatto con aristocratico bouquet di sultanina, miele d’acacia, frutta secca, arance e cedro canditi, pasta lievita, albicocche secche, cotognata, giuggiole, zafferano,tabacco dolce, zenzero e cannella. È pieno e solare, abbondante di frutta stramatura, ma non risulta mai stucchevole grazie alla contrapposizione di un’acidità che il tempo non sembra aver mini minimamente intaccato. A buon diritto Acini Nobili rientra nel ristretto novero di quei vini  di assoluto valore che trascendono il loro residuo zuccherino, non vini da dessert ma grandi vini “tutto d’un pezzo”, capaci di evolvere per generazioni.

Vin de Costance 2001 (Muscat de Frontignan 100%)
Klein Constantia (Sud Africa)

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Torna un mito assoluto della Belle Epoque, prediletto da Napoleone Bonaparte, Luigi Filippo, Bismark; celebrato in letteratura da Baudelaire, Dickens e Jane Austen, che lo raccomanda come elisir per i cuori afflitti. I primi insediamenti coloniali voluti dalla Compagnia delle Indie risalgono al 1652, e già nel 1659 il governatore del Capo Jan van Rieebeck annota nel suo diario: “Oggi bel tempo. Con l’aiuto di Dio, abbiamo introdotto il primo vino da uve del Capo, da Muscadel e altre uve bianche… ” Nel 1685 Simon var Der Stel diventa proprietario di un’immensa tenuta alle pendici della Table Mountain, rinfrescata dai venti umidi che spirano dai due oceani Atlantico e Indiano. Grato a un amico funzionario della Compagnia che lo favorisce nell’acquisto, decide di chiamarla Constantia  in omaggio alla di lui nipote, Constantia Van Goens.  Alla morte di Van Der Stel, la tenuta viene smembrata nelle tre proprietà Groot Constantia, Klein Constantia e Buitenverwachting. Formidabile impulso alla notorietà del vino lo da Endrik Cloete,  che nel 1778 scrive: “Ora la tenuta è mia. Sono convinto che quest’anno il vino sarà buono come non mai! Sto scrivendo vicino al torchio, e qui resterò  tutto il giorno, in maniche di camicia e calzoni leggeri… ” La fama del Constantia era al suo apice, e adesso i Cloete legano la loro fortuna. A fine Ottocento la bancarotta, a causa delle devastazioni da oidio e fillossera. La tenuta è incamerata dal governo, poi rivenduta ai magnati De Villiers che la riconvertono a residenza di lusso. Nel 1980 la rinascita vincola: il nuovo proprietario Duggie Jooste impiega sei anni per costruire una cantina modernamente attrezzata e ricostituire integralmente i vigneti che comprendono diverse varietà: Chardonnay, Sauvignon, Riesling, Pinot nero, Cabernet e Syrah.  Per ridare vita al mitico Constantia  viene adottato, dopo meticolose ricerche, un particolare colore di Muscat de Frontignan (Moscato bianco “a petit grains”, lasciato appassire in pianta, fermentato in acciaio ed elevato almeno due anni in rovere. Il risultato è un nettare di 14,8 gradi, 135 g di zucchero residuo, egregiamente bilanciati da un’acidità all’8,8 per 1000. Sontuoso ed ampio, apre un aristocratico corredo aromatico di mango, albicocca, pesca sciroppata, mandarino e spezie dolci, erica, cipria, salmastro, sentori agrumati, delicato miele e minerali. Emozionanti l’equilibrio e la ricchezza del palato, vivificato da vibrante acidità, sapido e incisivo, impreziosito da strascico di erbe officinali. La dolcezza, inesauribile e ammaliante, rende bene l’idea dell’Hanepoot  (vaso di miele), nome boero del Moscato. Degno erede di un vino leggendario, il moderno Constantia adotta la gloriosa bottiglia in vetro scuro dell’epoca coloniale.

constantia cardonnay    constantia pinot noir            constantia riesling              constantia shiraz

 

 

 

 

 

 

Autore: Tommaso Aniballi

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