La pasta? Italiana è. (parte1)

10 Ottobre 2010

(Parte 1)

mezze-maniche-con-cozze-e-melanzane.hom-finaleStoria dell’alimento per eccellenza del popolo “italico”.

E’ difficile immaginare un piatto italiano che sia meno famoso della pasta. Per questo motivo è importante confutare, soprattutto in un momento così complesso e confuso come l’attuale, una ridicola leggenda metropolitana secondo la quale la pasta è di origine cinese. Recenti studi e valutazioni filologiche comparate dimostrano come la pasta fosse nota in Sicilia già dopo la dominazione araba (826-1060) e venisse preparata usando il grano duro che cresceva sull’isola. La prima fonte letteraria che ne parla è un libro del geografo arabo Abu Abdallah Muhammad ibn Muhammad ibn Idris, chiamato molto più sinteticamente Idrisi dai siciliani, che, in quello che è oggi conosciuto come Il libro di Ruggero, afferma che nella città di Trabia, vicino a Termini Imerese “si fabbricano spaghetti in quantità tale da approvvigionare, oltre ai paesi della Calabria, quelli dei territori mussulmani e cristiani, dove se ne spediscono consistenti carichi”.

Il trattato di Idrisi, terminato prima della morte di Ruggero II, avvenuta nel 1154, conferma che la fabbricazione della pasta in Sicilia aveva raggiunto un punto di sviluppo tale da originare anche una notevole esportazione verso tutti i paesi dell’area mediterranea. Il fatto poi che la pasta venisse esportata verso i “territori musulmani” tende a confermare che se anche la pasta fosse nata originariamente in quelle terre, essa ebbe nella Sicilia il suo perfezionamento e centro di diffusione. La leggenda sull’origine cinese invece deriva da una lettura superficiale di un passo del Milione di Marco Polo dove egli afferma di aver visitato il paese di Fansur nella regione di Baros, nella parte sud-occidentale di Sumatra, dove vide l’albero del sago, dal quale gli abitanti ricavavano farina con la quale “si fa molti mangiar di pasta e buoni”.

Per una incomprensibile ragione, il primo editore del libro, il trevigiano Giambattista Pamusio, introdusse nell’edizione del 1559 una nota di suo pugno in cui per chiarire il concetto specificava che con quella “farina purgata e mondata si fanno lasagne e diverse vivande di pasta delle quali ne ha mangiato più volte il detto Polo, e ne portò seco alcune a Venezia”. Questa nota arbitraria, scomparsa poi dalla edizioni moderne, è stata usata successivamente per giustificare una cosiddetta origine cinese della pasta che però non è suffragata da nessun altro elemento. E’ quindi un vero peccato ed un’enorme imprecisione che alla voce “macaroni” della statunitense Columbia Encyclopedia si legga: “Simili paste alimentari di farina e riso erano note in Asia da parecchie migliaia di anni, e si ritiene che siano state introdotte in Germania durante le invasioni mongole del XIII secolo, e che si siano diffuse in Italia, dove diventarono un prodotto corrente, sia per il consumo interno, sia per l’esportazione”. La pasta di grano duro, come viene prodotta da secoli in Italia, non ha nulla a che vedere con quei pallidi filamenti di farina di grano tenero o di riso che galleggiano sfatti nelle scodelle delle zuppe cinesi.

Oggi è anche possibile dare una risposta sufficientemente precisa sull’origine dei maccheroni sulla base di documenti e prove logiche. Le paste alimentari videro la luce in Sicilia dopo l’avvento della dominazione araba ma, quasi certamente, non furono gli arabi ad introdurvele. La parola maccherone non deriva poi, come si è a lungo ritenuto, dal basso latino maccaronis, ma dal siciliano maccarruni, dal verbo maccari (schiacciare), e  significa impastato con forza perché l’impasto della semola, ottenuta esclusivamente dal grano duro, richiede più sforzi  di quanti ne occorrano per intridere la farina di grano tenero.

Un’altra considerazione da fare è sulla radice italiana del nome dei vari tipi di pasta diffusi nel mondo: spaghetti, maccheroni, vermicelli e via dicendo. Se fossero stati i cinesi o gli arabi ad inventare ed esportare la pasta è veramente difficile spiegare come mai questa specialità “cinese” sia nota soltanto con nomi italiani. Per chiudere con le considerazioni letterarie vogliamo soltanto notare come il mangiare la pasta fosse così diffuso tanto che nella terza novella dell’ottava giornata del Decameron di Boccaccio (1313-1375) si narra di “una montagna tutta di formaggio parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevan che far maccheroni e raviuoli, e cuocergli in brodo di capponi, e poi gli gittavan quindi giù e chi più ne pigliava più se n’aveva”.

(continua)

 

Galliano Maria Speri

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