(Parte 2)
Storia dell’alimento preferito dal popolo “italico”.
Come riferisce con dovizia di particolari il noto gastronomo Felice Cunsolo, l’origine siciliana della pasta è suffragata da numerosi fatti. La parola maccherone compare per la prima volta in un documento del basso Medioevo, gli atti di beatificazione del siciliano Guglielmo l’eremita, nativo di Noto e morto a Scicli. Inoltre, il dialetto siciliano è ricco di espressioni e proverbi in cui compaiono i maccheroni come “maccarruni senza sali”, detto di persona sciocca, “simplici comu l’acqua di li maccarruni”, furbo di tre cotte che cerca di spacciarsi per ingenuo, oppure “manciari maccarruna ’n testa a ‘n autru”, essere più scaltri. A conferma di quanto detto sopra, c’è anche il fatto che la prima associazione tra fabbricanti di pasta nacque a Palermo verso la fine del Quattrocento ed ebbe all’inizio scopi di mutuo soccorso tra gli aderenti.
Tre secoli più tardi, il grande poeta tedesco Goethe dà testimonianza nel suo Viaggio in Italia di come venisse fabbricata la pasta in Sicilia. Arrivato a Girgenti, l’attuale Agrigento, è costretto dalla mancanza di alberghi a prendere alloggio presso un pastaio e la mattina dopo può assistere al lavoro di alcune giovani donne intente alla preparazione dei maccheroni. “Ci siamo seduti -annota il poeta tedesco- accanto a quelle graziose creature, ci siamo fatti spiegare le varie operazioni ed apprendemmo così che quella specie di pasta si fa del frumento migliore e più duro, detto grano forte. Occorre del resto grande abilità di mano che non lavoro di macchine o di forme. Ci hanno anche imbandito dei maccheroni squisiti, pur deplorando di non poterci servire nemmeno un piatto di quella qualità superlativa, che si trova soltanto a Girgenti, anzi soltanto a casa loro. Con tutto questo, la pasta che abbiamo gustata mi è sembrata, per candore e delicatezza di gusto, senza rivali”.
Cunsolo smentisce un’altra diceria secondo la quale la pasta avrebbe avuto origine nella città di Napoli, che invece divenne la capitale dei maccheroni soltanto nell’Ottocento, quando si sviluppò la locale industria pastaria. Il motivo di tanto ritardo, rispetto ad altre regioni italiane, dipese dal fatto che la Campania non produceva il grano duro che serviva alla fabbricazione della pasta ed era necessario importarlo dalla Sicilia, dalla Puglia o dalla Sardegna. La diffusione tarda del consumo di massa della pasta a Napoli è poi confermata dall’autorevolissimo Benedetto Croce che scrive: “Non pare che allora i maccheroni avessero, come ebbero di poi, il primo posto nella cucina napoletana; tanto che i napoletani erano detti non già mangiamaccheroni ma mangiafoglie. I maccheroni si trovano assai spesso indicati come di Sicilia o di Sardegna”.
Dalla Sicilia la pasta si diffuse verso nord, raggiungendo presto quelle località che intrattenevano commerci marittimi con l’isola. E’ provato che sin dal IX secolo i genovesi avevano in Sicilia banchi di commercio e magazzini per la salagione delle carni destinate alle galere genovesi. Tramite questo canale la pasta arrivò a Genova dove si diffuse velocemente poiché i genovesi, essendo gente di mare, non avevano prevenzioni verso gli usi gastronomici degli stranieri. Già verso la fine del XIII secolo la pasta era molto apprezzata in città come è provato da un atto notarile. Nel 1279 tale Ponzio Bastone legava per testamento agli eredi, insieme ad altri beni, anche una “bariscella (botticella) de macaronis”. La pasta si diffuse inizialmente da un porto all’altro perché rappresentava una buona soluzione come alimento poco deperibile e difficilmente attaccabile da muffe e batteri, a differenze dei cibi freschi che, a bordo delle navi di allora, marcivano con molta facilità.
La diffusione e la fabbricazione della pasta in Campania è dovuta ad Amalfi, al tempo della Repubblica marinara, intorno all’anno Mille. Gli amalfitani, grandi navigatori, frequentavano a quell’epoca i porti siciliani dove appresero, in contemporanea con i genovesi, la novissima arte che subito introdussero in patria. Da lì, la produzione si diffuse in tutta la regione raggiungendo in seguito altissimi livelli qualitativi. Il resto, con una produzione che va dalle pregiate paste artigianli a quelle industriali, è storia di oggi.
Galliano Maria Speri