Parte terza
Gli alimenti più utilizzati nei primi anni della fondazione di Roma erano prevalentemente di origine vegetale. Tra questi i più coltivati erano i cereali: il farro, un cereale rustico a chicco rivestito, e l’orzo, destinato ai soldati e ai cavalli. Venivano in parte mangiati crudi, schiacciando i chicchi con i denti, in parte sfarinati e utilizzati nella preparazione di cibi molto diffusi, tra i quali la polta (puls), una specie di polenta, in cui la farina di farro veniva cotta in acqua e sale e addizionata talvolta da semi di lino. Con il passare del tempo i Romani insaporirono questa preparazione aggiungendovi le fave (puls fabata), lenticchie o altri legumi, oltre a cavoli e cipolle.
La focaccia rappresenta la fase intermedia dell’evoluzione gastronomica della civiltà romana, posta tra un primo periodo arcaico, in cui si consumava la polta, e una fase successiva al III secolo a. C. in cui si ha notizia di una vera panificazione. Ad accompagnare 11 pane, la polta e le focacce c’era il pulmentarium, che inizialmente consisteva di latticini, verdure, legumi, uo-va e, successivamente, di qualsiasi altro cibo facesse da companatico.
Le verdure
Anche per quanto riguarda il consumo di vegetali, la civiltà romana conobbe tré fasi. Nella prima si mangiavano erbe e frutti selvatici. A essa seguì un periodo in -i cui si consumavano diverse varietà autoctone di ortaggi coltivati negli orti, come il macerone. Infine, con l’incremento degli scambi commerciali, vennero introdotti ortaggi provenienti da altri paesi.
Tra i vegetali destinati all’alimentazione ricordiamo: cavoli, cicoria, carciofi, cetrioli, piselli, ortica, malva, lattuga, bieta nera, pastinache, rape, carote, ravanelli, oltre a radici, germogli di varie piante e funghi. I Romani facevano inoltre grande uso di aglio, cipolla, crescione e bacche aromatiche come ginepro e mirto, nonché alloro, cipollette e porri. La dieta prevalentemente vegetariana dei primi secoli indusse i Romani a consumare molto sale, utilizzato come esaltatore di sapidità, ma anche come companatico e agente conservante. Il largo consumo rese il sale un alimento di grande importanza nell’economia romana, come testimoniano le grandi saline che si trovavano alla foce del Tevere.
I primi alimenti d’origine animale
In epoca arcaica la carne, esclusa quella degli animali da cortile e la selvaggina di piccola taglia, era un alimento esclusivo, preparato prevalentemente bollito o arrostito. In questo primo periodo buoi, vacche e cavalli erano infatti utilizzati per il lavoro dei campi; gli allevamenti bovini a scopo alimentare si diffusero solo dopo il IV secolo a. C. La zootecnia romana di questi primi secoli si reggeva quasi esclusivamente sull’allevamento di pecore e capre, il cui latte era utilizzato per la produzione dei formaggi. La carne commestibile più apprezzata e diffusa era quella suina: il maiale, un animale onnivoro e bisognoso di scarse cure, era molto comune, soprattutto nelle famiglie più povere. Molto apprezzate e di larga diffusione erano anche la carne e le uova di polli e oche, il cui allevamento era generalmente destinato alle donne.
Il pesce entrò nell’alimentazione romana in età tarda, ma si diffuse rapidamente diventando un alimento di primaria importanza. I Romani conoscevano e apprezzavano quasi tutte le specie oggi diffuse.
Il garum, un liquido ricavato dalla macerazione del pesce, è uno degli elementi tipici della cucina romana, utilizzato come condimento in tante ricette di salse, verdure, pesce, carne e anche composte di frutta. Il garum ordinario era realizzato con gli scarti di vari pesci, , macerati nel sale; quello di qualità era invece ottenuto con polpa di pesci posti a macerare in un vaso, insieme a erbe aromatiche, spezie e sale. Il primo liquido filtrato veniva considerato il migliore ed era denominato gari flos. Tra le varietà più apprezzate ricordiamo il garum nigrum che era commercializzato in vasetti.
Lo splendore gastronomico dell’età imperiale
Con il passare del tempo, le abitudini alimentari romane furono influenzate degli usi delle popolazioni che l’impero sottometteva. Vennero così introdotte o affinate nuove tecniche di conservazione e preparazione degli alimenti. Il massimo splendore fu raggiunto durante il primo periodo imperiale, quando la cucina divenne una vera e propria arte, praticata anche da persone di rango elevato. A tale riguardo, ricordiamo la figura di Marco Gavio Apicio che visse all’epoca dell’imperatore Tiberio (I sec. d.C.). Costui fu un ricco buongustaio, autore del libro De rè coquinaria: un’opera molto importante che ci offre un quadro completo del mondo gastronomico nell’antica Roma, nonostante le omissioni e le aggiunte che le 468 ricette in esso contenute hanno subito nel corso dei secoli.
Franco Tacconelli