Quando grasso era bello

11 Luglio 2011

massimo-montanari 1Questo è un libro di storia con un impianto molto suggestivo, poiché rilegge gli eventi dal III secolo fino ad oggi dal punto di vista del cibo e dei comportamenti alimentari facendoci vedere aspetti del nostro passato su cui solitamente riflettiamo poco. Vengono anche confutati molti luoghi comuni, ripetuti per molti secoli, ma che non hanno più ragion d’essere. E’ stato detto che quando alla fine del XI secolo le crociate portano l’Europa ad un più stretto contatto con l’Oriente le spezie si diffondono in modo più capillare in Occidente, essenzialmente sulle tavole dei ricchi. Ma il fatto che venissero utilizzate in abbondanza per coprire il gusto disgustoso di alcuni cibi, o per conservare carni che sarebbero velocemente marcite è palesemente falso. I ceti più abbienti, quelli cioè che si potevano permettere la carne, non dovevano camuffare o conservare alcunché, visto che i nobili mangiavano carne freschissima che veniva macellata su ordinazione, oppure selvaggina proveniente dalle proprie riserve di caccia. I poveri, gli unici che avevano la necessità di conservare la carne, lo facevano con l’essiccazione, l’affumicamento o con la salatura, senza alcun ausilio delle costosissime spezie. I ceti inferiori dovettero però combattere ciclicamente contro le carestie e i cronisti medievali  ci forniscono dati puntuali su eventi che colpirono in modo più o meno intenso quasi tutte le regioni d’Europa. Uno dei secoli peggiori dal punto di vista alimentare fu l’XI, quando in Francia si contarono 26 carestie (solo nel XVIII secolo, con 16 carestie, si arriverà ad un livello di drammaticità paragonabile a questo). Il racconto del cronista Raoul Glaber è terrificante: “In quel tempo – oh sventura! – la furia della fame costrinse gli uomini a divorare carne umana, come solo di rado si era sentito dire in passato. I viandanti erano ghermiti da uomini più forti di loro, squartati, cotti sul fuoco e divorati”. Quello fu probabilmente il periodo peggiore per l’Europa anche se verso la metà del ‘300 lo stress alimentare provocò uno stato di malnutrizione diffusa che favorì la diffusione della terribile peste che devastò il continente tra il 1347 e il 1351.

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Ci furono però periodi di sviluppo e prosperità, anche grazie alla diffusione di nuove colture provenienti dall’America del sud come il mais e le patate e all’aumento della produttività agricola. Le diete delle classi sociali inferiori, però, continuavano ad essere povere di grassi. “Se fossi re, non berrei che del grasso” dice un contadino in un testo francese del Seicento, mostrando quanto fosse problematica la disponibilità di grassi come il preziosissimo burro o l’olio d’oliva, diffuso soprattutto nei Paesi mediterranei. Da questo desiderio alimentare deriva un corrispondente ideale estetico: essere grassi è bello, è segno di ricchezza e di benessere alimentare. Lo scrittore Matteo Bandello usa l’aggettivo per Milano, “la più opulenta e abbondante città d’Italia”, mentre per Bologna, l’epiteto “grassa” non fu certo coniato per dileggio. Il valore della magrezza, intesa come simbolo di efficienza e produttività inizia a diffondersi soltanto dal Settecento ad opera di borghesi, ma non solo loro, che si oppongono al “vecchio ordine” in nome di nuove ideologie e strategie politiche. Il quel periodo divengono popolari tra tutti gli strati sociali bevande come il caffè, secco e stimolante, perfettamente funzionale alle necessità della Rivoluzione industriale, mentre inizia a diminuire il consumo di alcolici che nei secoli precedenti erano stati una parte fondamentale dell’alimentazione delle classi subalterne. Come si vede, gli argomenti e gli spunti di interesse sono innumerevoli, qui ci siamo limitati a citare soltanto alcuni temi tra i tantissimi che vengono affrontati.

Massimo Montanari

La fame e l’abbondanza

Storia dell’alimentazione in Europa

Laterza, pagg. 262, € 10


Galliano Maria Speri

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