Rinascimento e cucina

5 Ottobre 2010

silografia-dalla-raccolta-di-stampe-bertarelli-001Uno sguardo nella storia della ristorazione.

Come è noto, l’Italia fu tra gli ultimi grandi Paesi europei a raggiungere la propria indipendenza. E’ stata però preceduta da una miriade di stati regionali, più o meno grandi, che hanno rappresentato delle piccole patrie dotate di splendide corti. Il più potente tra questi stati, se non altro per l’enorme influenza esercitata dai suoi mercanti-banchieri nell’Europa del tempo, fu la Toscana che sotto la signoria dei Medici riunificò, seppur brevemente, le varie città in un’entità che per molti decenni fu il centro artistico, culturale e anche finanziario più importante del mondo.

Nella Toscana del XV secolo, Cosimo il vecchio de’ Medici, in quello che in nuce fu il primo stato capitalistico dell’era moderna, realizzò una politica di rigogliosa crescita economica che permise all’agricoltura di fornire carni di ottima qualità e svariatissimi tipi di verdure generando quella prosperità che permise anche l’importazione delle costose spezie orientali.

Quello che colpiva però i viaggiatori che sedevano alle mense del periodo era la moderazione con la quale i commensali gustavano le varie portate a differenza di quanto avveniva negli altri paesi. Un commentatore del periodo, il Piovano Arlotto riferisce infatti: “Non è veruno inghilese, per piccolo mangiatore che sia, che non mangi per tre italiani, e tanto mangiano e bevono che in su quell’isola pochi vi stanno sani e tra le altre infermità vi sono infinite persone le quali come s’appressano all’età di anni quaranta arrossiscono e arrovesciano gli occhi”.

Come si vede, c’è un’enorme differenza rispetto alle orge romane, non solo nel banchetto in quanto tale, ma anche nella qualità dei cibi serviti. Mentre i romani avevano una concezione orgiastica dei gusti, con miscele, a volte ributtanti, del maggior numero possibile di ingredienti, il Rinascimento applica invece una concezione di armonia tra i diversi sapori e di giustapposizioni ed anche contrasti che portano però ad una sintesi unica. Per dare un’idea della finezza con cui veniva affrontato il pranzo, che prevedeva recita di poesie o musica tra le varie portate, si pensi alle raccomandazioni del Romoli, che in un testo tardo, La singolar dottrina, pubblicato a Venezia nel 1560, consiglia di servire con magnificenza gli ospiti, ma di trattare con eguale cortesia i loro servitori che vanno invitati ad una tavola separata ma rispettabile “perciocché i padroni non andran bandendo né pubblicando la eccellenza del convito e i buoni o cattivi trattamenti, ma sì bene i servitori che parlano spesso fra loro e con gli altri”, in modo che non mancheranno di tessere “lodi infinite e per esse ne acquisterà onore” il signore che ha offerto il pranzo.

Ad un livello molto più alto, questi consigli vennero messi in pratica anche dai signori rinascimentali che usarono l’efficiente struttura della cucina non solo per la preparazione dei banchetti quotidiani e dei grandi eventi ma che se ne servirono anche per far conoscere la propria ricchezza e magnificenza, diventando parte integrante della diplomazia.

Si vengono quindi precisando quei lineamenti che caratterizzano ancora oggi la cucina italiana: enorme varietà dei cibi, grazie ad una collocazione geografica che rende estremamente fertile il paese, raffinato accoppiamento tra carni, pesci e verdure e presenza di tutti gli elementi nutritivi di cui ha bisogno l’uomo per una corretta alimentazione. Il tipico pranzo italiano infatti è ricco di carboidrati (pasta di vario tipo), di proteine nobili (carne e pesce), di fibre e sali minerali (legumi e verdure) e di vitamine (frutta cruda e cotta). E’ cioè completo da un punto di vista nutritivo, come ci insegnano le moderne conoscenze sull’alimentazione.

 

Franco Tacconelli

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