La conservazione della frutta

20 Dicembre 2010

nocciole-fotoLe modalità di conservare la frutta nel corso dei tempi

Alcuni autori sostengono  che è solo nel Medio Evo che avviene la nascita della cucina popolare e moderna per l’incontro tra “il modello produttivo di tradizione greco-romana, fondato sull’ agricoltura, e quello germanico basato sullo sfruttamento delle foreste”. In realtà questo incontro avviene molto prima e proprio in Cisalpina, dove l’influenza etrusco-italica e poi romana si fonde nella cultura alimentare con il forte radicamento nell’economia della foresta di Celti e Liguri, testimoniato nella tradizione della sacralizzazione degli alberi utili e nel nome di popoli come i Bagienni (da bhagos – “faggio”).

La tradizione della coltura del bosco e del mantenimento selettivo di querce e faggi per i frutti edibili da animali e, in caso di penuria, anche dall’uomo resta forte in Piemonte nella protostoria. Ghiande e nocciole tostate sono state trovate come offerte in numerose tombe a cremazione fin dall’età del Bronzo. Dopo i semi di lino e di papavero, diffusi fin dal Neolitico, la nocciola, anche pestata, rappresentava la principale fonte endemica di olio alimentare in Cisalpina. Le nocciole tostate in particolare, favorite dalla rapida diffusione dell’arbusto nelle radure intorno agli abitati e nelle zone di taglio del bosco, sono ripetutamente documentate come offerta funeraria aggiunta ai resti della cremazione a partire dall’XI secolo a.C. D’altra parte, in un momento in cui il noce selvatico produceva ancora frutti con spesso mallo (usato in particolare per nutrire e tingere i capelli neri delle donne) e piccole noci, prima della diffusione della Junglans regia in età romana, a partire dalla Campania (“noce di Sorrento”), la nocciola risultava più redditizia della noce anche come apporto oleico: se ne ricavava una pasta conservata in vasi coperta dal suo stesso olio (come una analoga conserva oleosa fatta con i minuscoli semi di papavero e le tahine di sesamo ancora oggi nei paesi arabi), che resterà tradizionale della cucina povera in Piemonte anche nelle miscele per torte, tanto da costituire, con l’arrivo del cacao in età moderna, la base fondamentale della crema gianduia.

La necessità di conservare la frutta durante l’inverno crea la tradizione di conserve con miele, ben attestata ancora nella cucina romana ed in generale del simbolismo della conservazione che tutto il mondo antico attribuisce alle api ed al miele. Ma è soprattutto a partire dai primi momenti della romanizzazione che sembrano diffondersi anche in Piemonte le salse con mosto cotto (mostarde) Venivano in tal modo conservate le mele scottate, in particolare quelle piccole ed aspre di origine selvatica che difficilmente potevano venire mangiate crude (i Romani probabilmente introdurranno la coltivazione del cotogno asiatico anche in Cisalpina) insieme ad aromi, nocciole, frutta secca. cotognata-1Nasce così la tradizione della cognà (“cotognata”) piemontese, la vera mostarda originaria, prima della diffusione della senape, in particolare modo come salsa per la carne di maiale. Oggi il nome della senape in francese deriva dalla tradizione di queste salse di mosto, mentre la mostarda cremonese e vicentina riprendono la tradizione della conserva di frutta della pianura padana, aggiungendo però il piccante della senape. Una farina zuccherina ricavata dalle sorbe secche pestate, come testimoniato anche dalle Georgiche, era abitualmente utilizzata per aumentare la gradazione delle birre e talvolta mescolata al pane nelle situazioni di penuria. La diffusione del castagno, iniziata nella seconda età del Ferro ed esplosa con l’età romana, si inserisce in questo solco, fornendo un frutto di facile essiccazione e conservazione, con cui può essere preparata una eccellente farina, adatta per pappe, gnocchi, farinate, per essere addizionata al pane e anche per essere associata nella preparazione della birra.

 

Francesco Mascioli

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